“Io sono”, di Marco Papetti

“Io sono” è l’albo scritto e illustrato da Marco Papetti, il papà di Riccardo.

«Ciao, io sono Riccardo e questo è un pezzetto della mia storia.»

Non vi racconterò quel pezzetto di storia: sta a Riccardo raccontarla e mostrarla a voi attraverso le parole e i disegni del suo papà.

Posso anticiparvi solo qualcosa, perché vorrei proprio incuriosirvi al punto da farvi desiderare di conoscere Riccardo, così che possa raggiungere ognuno di voi.

io sonoPosso dirvi che Riccardo è un bambino piccolo piccolo, ma solo per età. Riccardo ha una mamma, un papà e una sorella. È un bambino come tanti, insomma, ma non come tutti. A Riccardo capita qualcosa di anomalo per noi, abituati a tutt’altro. Gli capita proprio lì sul principio, dove sembra impossibile.

Eppure…

Ecco, qui entrate in gioco voi… Chi è Riccardo? Dov’è? Cosa fa?

Riccardo vi offre diverse chiavi di lettura: quali sono a vostra misura?

Quindi è inutile girarci tanto intorno: Riccardo vi aspetta! È ansioso di presentarsi e raccontarvi la sua avventura.

Se di Riccardo vi parlerà lui stesso, vorrei cogliere questa occasione per parlare del suo papà.

Si chiama Marco ed è un ingegnere.

Un giorno è nato il suo Riccardo e la sua vita è cambiata. Forse non se lo sarebbe mai immaginato, eppure proprio perché Riccardo è entrato nella sua vita, ad un certo punto ha illustrato un albo e lo ha addirittura pubblicato!

Oggi è nostro ospite e ne approfittiamo per porgli alcune domande.

Ciao caro Marco, hai scritto e illustrato “Io sono” e lo hai pubblicato… te lo saresti mai immaginato?

No. Mi piace scrivere, ma non l’ho mai fatto “seriamente”. Inoltre non sono mai stato tanto incline al disegno. È stato un lavoro abbastanza impegnativo, oltre al “cosa voglia dire” ho dovuto pensare ogni volta a “come farlo”. Lo ammetto, ho scaricato da internet dei tutorial sullo stile “chibi” per imparare a disegnare Riccardo. Questo cimentarmi in un’attività per la quale non avevo (non ho) competenze, è stato molto appagante. Ho avuto tanto da scoprire ed imparare, con la nostra prima figlia, quando mi sono trovato ad essere padre. Ho avuto molte (troppe) sfide da affrontare anche nei giorni che hanno succeduto la morte di Riccardo, ma quegli eventi sono legati alla reazione di un momento traumatico. Cimentarsi con il disegno invece è stata una cosa “per lui” molto più serena e confortante.

Cos’hai provato nel disegnare tuo figlio?

Ho un tatuaggio (non disegnato da me) che lo ritrae in forma di bambino di 4 o 5 anni, ma lì il viso è celato da un elmo. Questa volta ho dovuto dargli un viso (per quanto delle illustrazioni così semplici siano povere di dettagli) e, da quando la matita ne ha tracciato il profilo, quello è il suo aspetto nel mio immaginario. È stato un gesto “spensierato”, “irresponsabile”. Ora ne comprendo il valore.

Come è cambiata la tua vita?

Ciò che è accaduto ovviamente ha stravolto la nostra esistenza, la mia, quella della mia compagna e quella di mia figlia. Certamente è cambiato il mio approccio al dolore e la mia attenzione al vissuto (soprattutto quello non dichiarato) degli altri. Da questo punto di vista mi sento più “sensibile”. So che, anche se non lo dicono, molte donne intorno a me hanno dovuto affrontare un aborto (voluto o meno), che tante coppie sorridenti in questo momento stanno cercando invano di aver un figlio, mi struggo nel pensare che quel ragazzo che chiede gli spicci fuori dal supermercato, probabilmente ha una famiglia lontana, dei bimbi che ha visto solo in foto o che hanno preso destinazioni diverse in un flusso migratorio ed ora chissà dove li ha portati la corrente. D’altro canto, chiaramente in contraddizione, sono diventato più intollerante nei confronti di ciò che ora mi sembra “di poco conto”. Nei giorni successivi al lutto avrei dato la morte ad ogni passante, non meritevole con la sua scialba vita, di avere ciò che Riccardo non ha avuto. Dopo due anni mi sono un po’ ammorbidito (o semplicemente sono più politicamente corretto) ma l’idea resta quella. Ecco, per fare due esempi: viaggiando molto in macchina prima ascoltavo spesso la radio, ora le opinioni e la voce dei DJ mi irrita. Che ne vogliono sapere loro della vita?! E, ancora, un tempo mi appassionavo di politica: ora l’andamento di un governo o il destino del pianeta mi sembrano dettagli trascurabili. Si potrebbe pensare che non si possa essere più sensibili e più menefreghisti contemporaneamente, beh… pensatelo pure, lo credo anche io.

Com’è essere (essere stato?) papà in lutto?

In questa intervista ho provato a raccontare la mia esperienza di “padre in lutto”. Tento di cambiar tono usando quest’immagine:

Essere padre in lutto è dover tener testa, durante una battaglia per la quale si parte disarmati, a questo stereotipo. Spesso, senza alcun vantaggio, ce lo imponiamo da soli, altre volte è “ovvio” che sia così. Non conosco nessuno che abbia le virtù di he-man quindi, essere un padre il lutto, vuol dire innanzi tutto accorgersi di non essere l’eroe di Eternia, poi significa fare i conti con questa epifania. Tutto questo, mentre hai la morte nel cuore.

Noi ti ringraziamo infinitamente per questo tuo lavoro e la disponibilità nel presentarlo.

È ancora piuttosto raro che i papà si espongano nel raccontare e raccontarsi co-protagonisti di esperienze come la vostra, per questo il tuo lavoro è ancora più prezioso.

Mamme e papà soffrono entrambi in questi frangenti: non più o meno, talvolta in modo diverso. Sentirsi liberi di esternare l’un l’altro e al mondo la propria pena, nel modo più congeniale, senza limiti alla fantasia, è fondamentale per restare uniti e per trovare la strada verso un nuovo modo di vivere pienamente l’esistenza. Ci auguriamo che i papà si sentano sempre più liberi di raccontarsi, svincolandosi dal pensiero comune che un uomo in quanto tale non debba mostrare la sua sofferenza, affinché si abbatta il tabù nel tabù: il lutto perinatale non è una questione solo delle donne.

Io sono” è disponibile cliccando qui.

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