Il dolore necessita di trovare un senso?

Il dolore necessita di trovare un senso?
La butto giù così, mentre la penso.

Ho letto del dolore e del senso: il dolore necessita di trovare un senso?

Il lutto porta dolore e il dolore si lenisce quando trova un senso.
Ecco, questo dolore… che cos’è il dolore?
Percezione. Il dolore del lutto, ma anche il dolore in generale, è un ‘meccanismo’ che desta l’attenzione: ti schiacci un dito, provi dolore e ti accorgi di avere il dito schiacciato. Allora cerchi il modo di liberarlo. Non lo libereresti senza quel dolore. Oppure lo strapperesti via, perdendo il dito.
Quindi il dolore è una spia, lui avverte.
Di cosa avverte il dolore del lutto?
Avverte di dover compiere un grande cambiamento.
L’assetto affettivo della propria esistenza è mutato drasticamente.
Non c’è più una persona che contava.
Senza dolore potremmo non accorgercene, come per il dito… Continuare a comporre il numero di telefono e arrabbiarci perché non risponde. Potremmo continuare a preparare la cena per due e trovarci da soli, senza capirne la ragione.
Ecco, il dolore dice che dobbiamo fermarci e riflettere su come togliere il dito dalla morsa, senza strapparlo via, oppure senza portarci dietro la morsa e mandarlo in cancrena.

Il dolore dice che ci dobbiamo fermare e riflettere su come possiamo vivere senza.

Allora è tutto un cercare.
Cercare se stessi, cercare nuovi riferimenti, cercare risposte, cercare soluzioni, cercare significati.
Il dolore chiede presenza a noi stessi, chiede che ci prendiamo cura di noi; grazie a quel male che proviamo, possiamo accorgerci che esistiamo, nonostante tutto e abbiamo bisogno di maggiori attenzioni.
Poi si aggiungono emozioni come la tristezza che ci induce a fermarci. È lei che ci preserva, ci mette al sicuro e ci chiede il tempo che serve per curarci di noi.
Arriva la rabbia, che ci desta, ci dice che siamo vivi, ci chiede di combattere… spesso combattiamo contro gli altri (che non possono cambiare le cose, nemmeno quando ci sanno abbracciare – però se ci abbracciano, noi stiamo meglio), contro di noi (che ci siamo rivelati impotenti e non invincibili come ci hanno sempre indotto a credere), contro la vita, Dio, il destino… Insomma tutto il possibile, per darci il tempo di trovare soluzioni, restando vivi.

Classificazione: 5 su 5.
Ad un certo punto questo dolore è un po’ meno doloroso: giorno dopo giorno ci accorgiamo che, in qualche modo, le cose procedono, noi non siamo morti, ci stiamo ricostruendo una routine alternativa.
Possiamo vivere senza.
È qui il contraccolpo più destabilizzante!
Se possiamo vivere senza, allora chi abbiamo perso non era poi molto importante, giusto?
Sbagliato.
Possiamo vivere senza perché siamo fatti per adattarci anche all’assenza, tuttavia quel ‘senza’ non è mai ‘senza’ del tutto.
Si tratta di un ‘senza’ nel presente della dimensione fisica, solo una parte della nostra esistenza. C’è una parte molto importante della nostra dimensione umana in cui ‘senza’ non esiste. Siamo sempre ‘con’ tutti quelli che amiamo, proprio perché li amiamo.
Ecco che qui il dolore potrebbe pure smettere di pulsare.

Io amo, dunque sono con. Non sono solo, mai.

Quell’amore ha bisogno di esprimersi, in qualche modo, perché è una forza motrice enorme: LA forza motrice.
Allora è di nuovo un cercare come trasformare in azione ciò che vorrebbe muovermi, ma non sa più come, perché non c’è la persona verso cui si concentrava quest’energia.
Faccio cose, progetti, iniziative dentro le quali riverso l’energia che ho.
Ecco la soddisfazione: avere trovato un modo per sentire che posso amare ancora con grande trasporto, ricevendo grande soddisfazione perché AMO. Cioè, la soddisfazione è la libertà d’agire del mio sentimento d’amore.
Che c’entra il dolore?
Il dolore è quel segnale che mi porto dietro per ricordarmi di non sentirmi troppo soddisfatta, troppo felice, troppo realizzata, perché chi amavo è morto.
Non si fa… d’essere felici se c’è morto un amore, nemmeno se l’abbiamo trasformato, nemmeno se vive con noi nella nostra dimensione trascendente. È irrispettoso. È segno di meno amore. È evidenza di dimenticanza.

Perché la nostra cultura non ci vuole mai felici: ci vuole spaventati e dolenti, soprattutto della morte.

Ma se alla morte fai una leva, perché lei – per quanto agisca brutalmente – alla fine non ti toglie l’amore, né la felicità, casca tutto il castello che ci tiene oppressi.
Che poi, la morte davvero ci vuol così male? Davvero è così cattiva? Davvero esiste per toglierci qualcosa?
Oppure ci dona: libertà di raggiungere l’altrove per chi muore e l’opportunità di incontrare infiniti sensi nel vivere per chi resta.
La storia che ci raccontiamo è nostra e solo nostra. Noi scegliamo le parole, noi costruiamo i pensieri e, quindi, la realtà di questa nostra avventura.
Possiamo togliere potere al dolore, possiamo incontrare la morte in altri modi, possiamo amare ed essere felici in modi impensabili, grazie ai nostri morti.