Amore mio, se muoio e tu non muori…

Amore mio, se muoio e tu non muori,
amore mio, se muori e io non muoio,
non concediamo ulteriore spazio al dolore:
non c’è immensità che valga quanto abbiamo vissuto.
Polvere nel frumento, sabbia tra le sabbie,
il tempo, l’acqua errante, il vento vago,
ci ha trasportato come grano navigante.
Avremmo potuto non incontrarci nel tempo.
Questa prateria in cui ci siamo trovati,
oh piccolo infinito! la rendiamo.
Ma questo amore, amore, non è finito,
e così come non ebbe nascita,
non ha morte, è come un lungo fiume,
cambia solo di terra e labbra.

Pablo Neruda (Amore mio, se muoio e tu non muori)

Non concediamo altro spazio al dolore.

E’ esattamente a partire da questo che ho preteso da me di rimettermi in piedi.

Cosa può la Morte sull’Amore?

Nulla.

Cosa può l’Amore sulla Morte?

Nulla.

L’amore resta e il grande valore raccolto è proprio il riconoscimento d’averlo potuto godere.

Ad un certo punto mi sono anche detta che avrei potuto farne a meno: a quale scopo darmi due figlie per vederle morire?

Avrebbero potuto (chi non so, sarebbe da accertare…) anche tenersele, io sarei rimasta nell’ignoranza di cosa sia un dolore atroce come la morte di un figlio (e poi due) e non avrei avuto alcun rimpianto verso qualcosa che non avrei proprio conosciuto.

Se, se, se…

Si fa così: è sempre col senno di poi che ci si scopre scienziati! 😉

La verità qual è?

Io volevo avere un figlio.

Io volevo diventare nuovamente madre.

Pablo Neruda, 5 gennaio 1942.

Ebbene, chi crede in una forza oltre noi, direbbe che sono stata esaudita.

Chi crede fortemente nella forza di volontà degli esseri umani, direbbe che ci sono riuscita.

Chi non lo sa esattamente, come me, direbbe che va bene così: mi sono potuta scoprire madre ogni volta in cui ho desiderato un figlio.

Ad un certo punto mi sono costretta ad essere onesta con me stessa: io, in verità, che potere ho su ciò che mi accade?

Fatto salvo tentare di mettermi nelle condizioni più favorevoli affinchè ciò a cui aspiro si realizzi, quanto potere ho sul fatto che certamente si realizzerà?

Mi avvicino al nulla…

Allora da dove viene questa certezza che il desiderio di essere madre corrisponde al dato di fatto di diventarlo, nove mesi dopo?

La verità?

Colpa delle reclame 😳

Da Calimero degli anni ’60, alla famiglia del Mulino Bianco, all’auto coi sedili rotanti…

Non vedrai mai la pubblicità di un’auto vuota, a testimoniare che la vita è come una scatola di cioccolatini…

In realtà è una comunicazione che avviene a tantissimi livelli, la pubblicità è solo quello più evidente.

Nessun percorso di accompagnamento al lutto, nessuna informazione sull’eventualità del lutto, nessuna parola dopo il lutto, nessun rito legato al lutto, nessuna letteratura sul lutto, nessuna sezione dedicata al lutto (se non quelle a margine dell’immenso portale della maternità), portano a credere che questo evento non esista, se non per pochi che, ahiloro, non ce la fanno, non è concesso… sono sfortunati.

Noi crediamo che sia un fatto marginale.

Ci crediamo profondamente, perché lo desideriamo, lo auspichiamo.

Ma non è sempre stato così.

Un tempo infatti si sapeva che la metà dei bambini sarebbe morta tra l’epoca prenatale e i primi anni di vita, anche per questo se ne concepivano così tanti.

Avere tanti figli significava avere mano d’opera. Significava poter avere migliori occasioni di farcela. A quel tempo figliare era l’espressione di un atto sessuale e non c’era la televisione…

Allora i figli non erano una scelta, piuttosto erano l’evoluzione naturale della specie.

Poi ci si è messo di mezzo lo sviluppo scientifico: l’igiene, l’alimentazione, i farmaci… i bambini hanno cominciato a sopravvivere quasi tutti, soprattutto quelli partoriti vivi e a termine.

Saremmo stati talmente tanti che non avremmo saputo più dove metterci, così l’avvento della contraccezione e in breve tempo i figli si sono evoluti dall’espressione della capacità riproduttiva, ad una scelta maturata, cresciuta e cullata.

Sono diventati una vera categoria sociale: loro, all’interno delle strategie di marketing, stanno al primo posto.

Il parto è stato spostato da casa all’ospedale, celando così agli occhi di tutti le sue possibili declinazioni.

Non si sono mai più visti figli, anche molto piccoli, partoriti morti, e se una cosa non la vedi, è facile finire col credere che non esista.

Per una serie di evoluzioni, abbiamo smesso di avere davanti a noi la realtà per quella che è, tale da sempre: i figli muoiono, anche.

Ma…

Il loro morire non dipende da me, come quell’auto, colma di bambini sui sedili rotanti, sembra volermi far credere. Ancor meno come sembra dirmi quel test di ovulazione irrinunciabile, o quel test di gravidanza precoce, che senza la faccetta che ride che lieta novella potrà mai essere?

Io sono solo una madre. 

Alla fine, la realtà è che madre lo sono stata ogni volta in cui l’ho desiderato.

È durato quanto è potuto durare, polvere nel frumento, sabbia tra le sabbie, il tempo, l’acqua errante, il vento vago, ci ha trasportato come grano navigante. Non c’è immensità che valga quanto abbiamo vissuto. Non intendo concedere altro spazio al dolore.Pablo Neruda, 5 gennaio 1942.

È possibile trovare in quest’immagine la descrizione dello stato d’animo surreale di un lutto?

Io ad esempio la trovo…

Si parte dall’austerità dello stelo, rigido verso l’alto, come costretto ad andare in un clima e spazio senza tempo.

Infine, l’esplosione bianca delle calle, un arrendersi al senso di pace, al bianco candore di ciò che è emerso al termine di una fioritura.

Novella Buiani
  (Psicologa e Psicoterapeuta)

Curiosità:

Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, abbreviata in Tina Modotti   è stata una fotografa, attivista e attrice italiana.  Nata a Udine il 17 agosto 1896 e deceduta a Città del Messico il 5 gennaio 1942, è considerata una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo.

Tina muore secondo alcuni in circostanze sospette. Più probabilmente è colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa.

Pablo Neruda (poeta, diplomatico, politico cileno), indignato per le polemiche, scrive una forte poesia, alcuni dei versi sono riportati sulla sua lapide.

(Fonte: Wikipedia)

Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.

Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.

Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.

Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.

Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.

Pablo Neruda, 5 gennaio 1942.